Amplificazione Artica e modifica delle onde di Rossby con il mare Adriatico sempre più caldo tra le possibili cause alla base di inverni con sempre più neve ad alta quota sulle Alpi Giulie. Tutto ciò ha portato ad un lieve aumento di volume dei piccoli corpi glaciali delle Alpi Giulie negli ultimi 15 anni di osservazioni. Nel lungo periodo l’influenza dell’Atlantic Multidecadal Oscillation (AMO) in passato ha modulato l’evoluzione glaciale delle Alpi.
Tanta neve in un inverno non significa freddo, anzi… spesso proprio il contrario. Tendenzialmente, infatti, si stanno registrando da decenni inverni via via sempre più miti rispetto al passato quando le estati, più fresche, facevano fondere meno neve sulle Alpi e i ghiacciai mantenevano il loro equilibrio. Un team internazionale composto da ricercatori dell’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp), della Aberystwyth University in Galles (Uk), delle Università di Trieste e Udine e dell’Eötvös Lorànd University di Budapest (Hu) ha pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Atmosphere una ricerca che giustifica con l’aumento degli estremi nevosi nel settore alpino orientale le cause alla base della resilienza dei piccoli ghiacciai delle Alpi Giulie.
Figura 1 Temperature medie invernali (dgf) a 2203 m in Canin tra il 1851 ed il 2020. La curva con i pallini mostra le temperature medie di ogni inverno, poi mediate con una media mobile di 11 anni attraverso la curva blu scuro. La retta interpolante rossa rappresenta il trend lineare di 150 anni di temperature invernali, ed evidenzia un aumento prossimo a 2°C in 150 anni. A destra la stazione meteorologica automatica del Canin nell’inverno 2020-21
Figure 1 Mean winter temperature (djf) at 2203 m asl in Canin-Kanin between 18561 and 2020. The dots curve shows annual mean winter temperature, then averaged with a low pass 11-years filter (blue curve). Red interpolation shows the 150 years linear trend highlighting a temperature rise of about 2°C. On the right picture of the Canin Automatic Wetaher Station during winter 2020-21
Anche quest’anno sulle Alpi, e in particolare sul settore centro orientale, si sono verificate nevicate molto intense e frequenti tra l’inizio di dicembre e la prima decade di febbraio, ed hanno portato la somma degli accumuli nevosi a toccare i 10 metri a 1800 m di quota nelle Alpi Giulie. Da allora, una lunga sequenza di settimane praticamente senza precipitazioni non ha più ritoccato il manto nevoso al suolo, ad eccezione della ventina di cm di metà marzo. L’inverno 2020-21, a causa di questa inconsueta “siccità” primaverile, potrebbe alla fine non essere così estremo, in termini di nevosità, come poteva sembrare all’inizio, ma tutto dipenderà comunque dall’andamento degli ultimi due mesi di primavera.
In ogni caso, a partire dagli anni 2000, si sono verificate un numero crescente di annate con accumuli nevosi eccezionali e molto superiori alla norma, come ad esempio negli inverni 2019-20, 2013-14, 2008-09, 2003-2004 e 2000-01, oltre che a questo ultimo inverno come si vede in figura 2 che mostra in evidenza la curva giornaliera di spessore di neve al suolo a partire dal 1972 e fino al 30 marzo 2021.
Figura 2 andamento giornaliero dello spessore del manto nevoso al suolo in Canin (stazioni AINEVA Gilberti e Livinal Lunc). Le linee rosse sottile e grossa indicano rispettivamente le misure effettuate manualmente presso il rifugio Gilberti (quota 1840 m) ed in modo automatico al Livinal Lunc (1837 m) dalla rete idrometeorologica Protezione Civile. In evidenza anche le due annate più nevose del 2008-09 e 2013-14 così come le medie pluriennali riferite alla serie recente manuale del Rifugio Gilberti operativa dal 2008 (linea nera grossa) e la serie completa che comprende i dati raccolti al vecchio arrivo funivia e al Livinal Lunc.
Figure 2 daily snow depth at 1840 m in Canin (stations AINEVA Gilberti and Livinal Lunc). Red fine and bold lines respectively show manual observations at the Gilberti hut (1840 m) and automatically at Livinal Lunc (1837 m) by the Civil defense hydro-meteorological network. The two most snowy seasons of 2008-09 and 2013-147 are also highlighted as well as multi-annual averages referred to recent manual records collected at Gilberti hut, in operation since 2008 (black bold line) and the whole record merging data from the old cable car and Livinal Lunc.
L’ingente strato nevoso deposto al suolo, in particolare in aree come le Alpi Giulie dove già piogge e nevicate sono tra le più elevate di tutta Europa, viene però rimosso dall’aumentata fusione estiva dovuta a estati che risultano sempre più lunghe e sempre più calde a causa del riscaldamento globale.
In figura 3 si vede infatti come la temperatura media estiva (riquadro a) sia in costante aumento sulle Alpi Giulie a 2200 m, e sia passata da circa 7.5°C di media alla fine degli anni ’70, agli attuali 9.5°C di media. Questo ha fatto sì che il periodo di ablazione, ossia il periodo durante il quale si generano fusione di neve e ghiaccio indotte dalle elevate temperature estive, vada allungandosi ed incrementandosi costantemente (Figura 3d, e). Il numero di giorni con temperature positive (Figura 3e) è passato da 170 alla fine degli anni ‘70 a quasi 190 del presente, di fatto allungando di circa 3 settimane il periodo di ablazione estiva. La fusione di neve e ghiaccio potenzialmente associata, e calcolata attraverso un modello di “gradi giorno positivi” (Figura 3d), è passata da poco meno di 4200 mm w.e. (acqua equivalente) a circa 5300 mm w.e. Tradurre questo è come dire che 30 anni fa se ne andavano nel corso di un’estate neve e ghiaccio corrispondenti a 4 metri e 20 cm di colonna d’acqua uniformemente distribuita sui corpi glaciali, mentre adesso se ne vanno sotto forma di fusione estiva 5 metri e 30 cm: 1 metro e 10 cm in più di 30 anni fa sono equivalenti a 1.1 tonnellate d’acqua per ogni m2.
Figura 3 Climatologia recente (1979-2018) a 2200 m in Alpi Giulie: a) temperature medie estive; b) precipitazioni invernali; c) altitudine della linea di equilibrio ambientale dei ghiacciai (Environmental ELA); d) Positive Degree Day model per la stima dell’acqua equivalente di fusione estiva; e) numero dei giorni con ablazione nivo-glaciale. Da Colucci et al. 2021
Figure 3 Recent Climatology (1979-2018) at 2200 m in the Julian Alps: a) mean summer temperature; b) winter precipitation; c) Environmental Equilibrium Line Altitude; d) Positive Degree Day model in mm w.e.; e) number of ablation days. From Colucci et al., 2021
Misurando i bilanci di massa di tutti i piccoli corpi glaciali di questo settore alpino, dal 2006 al 2018, i ricercatori si sono però stupiti nel vedere un bilancio di massa complessivo leggermente positivo nel corso degli ultimi 13 anni (Figura 4), in totale controtendenza con quello che avviene su tutti gli altri ghiacciai alpini. Altrove nelle Alpi, infatti, i ghiacciai attraversano una fase di rapida contrazione e scomparsa con continui bilanci di massa fortemente negativi, dovuti proprio al riscaldamento globale.
Tra il 2006 ed il 2018 la superficie topografica del corpo glaciale orientale del Canin si è alzata di 3.53 m mentre il volume è aumentato di 43198 m3. Le misure sono frutto di oltre 10 anni di lavoro attraverso l’uso contemporaneo di metodologie diverse alle quali ha dato il suo importante contributo anche la Società Meteorologica Alpino-Adriatica. Alle misure glaciologiche e geodetiche tradizionali, si sono affiancati sondaggi lidar da elicottero e campagne di fotogrammetria da terra e da drone. Altro aspetto importante è stato quello di scoprire che il piccolo apparato glaciale possedesse ancora una sua debole dinamica, dopo il ritrovamento nel corso dell’agosto 2017 di alcune paline ablatometriche installate nell’autunno 2012 e da allora sepolte dalla neve. Ciò ha permesso di misurarne il loro spostamento verso valle come si evince in figura 5.
Figura 4 Variazioni topografiche della superficie del glacionevato orientale del Canin per il periodo 2006–2018. Dati laser da elicottero per il quinquennio 2006-2011 mostrano un incremento considerevole della superficie topografica (in alto a sx). Alle annate negative del 2012, 2015, 2016 e 2017 si contrappongono quelle neutrali del 2013 e positive del 2014 e 2018. Complessivamente tra il 2006 ed il 2018 la superficie topografica è aumentata di 3.53 m con un incremento di volume pari a 43198 m3. Da Colucci et al., 2021
Figure 4 Surface elevation change of the Canin East GIP for the period 2006–2018. Laser data from helicopters for the five-year period 2006-2011 show a considerable increase in the topographic surface (top left). The negative years of 2012, 2015, 2016 and 2017 are followed by the neutral one of 2013 and the positive ones of 2014 and 2018. Overall between 2006 and 2018 the topographic surface raised by 3.53 m with an increase in volume equal to 43198 m3. From Colucci et al., 2021
Figura 5 Contorni del piccolo corpo glaciale orientale del Canin per il period 2006-2018. L’area comune, che è stata usata per calcolare le variazioni topografiche e quindi il bilancio di massa, rappresenta l’intersezione di tutte le aree nel periodo 2006-2018. Le frecce nere mostrano lo spostamento delle paline ablatomateriche tra il 2012 ed il 2017, non in scala con la carta ma allungate per chiarezza. Da Colucci et al. 2021
Figure 5 Outlines of the Canin East GIP for the period 2006-2018. Common area, which was used for surface elevation changes and further in mass balance calculations, represents the intersect area from all observational years in the period 2006-2018. Black arrows show glacier movement in the 5-year-period 2012-2017; note they are not in scale with the map but elongated for clarity. From Colucci et al., 2021
Ma... se quindi le estati sono sempre più calde e sempre più lunghe e fondono sempre più neve e ghiaccio, perché sulle Alpi Giulie i piccoli corpi glaciali, peraltro posti a quote molto basse dove la calura estiva è ancora più marcata, non spariscono rapidamente e invece sono sostanzialmente stabili?
L’indagine è proseguita andando a cercare quali potessero essere le cause di questa che potremmo definire “l’anomalia giuliana delle Alpi”. Oltre ai fattori topografici che facilitano un maggiore accumulo da valanga, la causa più rilevante sembra essere quella legata proprio agli eventi estremi di precipitazione indotti dal riscaldamento globale. Nell’Artico, il riscaldamento sta procedendo a un ritmo molto più serrato rispetto alle nostre latitudini, e uno degli effetti predominanti è la drastica riduzione del ghiaccio marino che contribuisce agli effetti di amplificazione del riscaldamento. Questo effetto prende il nome di Amplificazione Artica, e sta modificando la traiettoria della circolazione globale dell’emisfero settentrionale (onde di Rossby) attraverso un processo che prende il nome di Quasi Resonant Amplification (QRA). In pratica I flussi atmosferici, che sono come delle onde che si muovono da ovest verso est, tendono ad essere più sviluppate in latitudine e si muovono più lentamente verso est, facilitando così le situazioni di blocco, quelle cioè che portano il tempo meteorologico a "bloccarsi" per lunghi periodi di tempo nel medesimo luogo (Figura 6). Ecco allora che, ad esempio, possono persistere per periodi più lunghi correnti marittime cariche di umidità e portatrici di precipitazioni che affluiscono verso montagne già di per sé con alta nevosità, oppure lunghe fasi di caldo estivo eccezionale, come si verifica sempre più di frequente negli ultimi decenni.
Figura 6 Schema che descrive l’elongazione dei picchi delle onde di Rossby (nero vs verde) alla quota geopetenzile di 500 hPa (circa 5000 m di quota) causata dal maggiore riscaldamento dell’Artico rispetto alle medie latitudini. Onde più ampie progrediscono verso est più lentamente come indicato dalle due frecce favorendo le situazioni di blocco. Modificato da Francis et al. 2012
Figure 6 Schematic of ridge elongation (black vs. green) in upper 500 hPa level heights caused by enhanced warming in Arctic relative to mid‐latitudes. Higher amplitude waves progress eastward more slowly, as indicated by arrows, favouring blocking patterns. Modified after Francis et al., 2012
L’ipotesi è stata formulata partendo da vari studi condotti su questo argomento negli ultimi anni e che descrivono come queste modifiche impattino sulla meteorologia dell’Europa e del Mediterraneo. A livello locale poi l’aumento osservato della temperatura superficiale del mare Adriatico esalta ulteriormente l’effetto iniziale, portando maggiore energia verso le montagne sotto forma di precipitazioni più intense. L'aumento della precipitazione è una funzione sensibile della struttura termodinamica a bassa quota (lo strato limite planetario, o Planetary Boundary Layer), e i processi possono differire a seconda che il flusso subisca un blocco (flow around) oppure no (flow over) (Figura 6). I parametri che controllano questi due risultati sono la velocità del vento che impatta la catena montuosa, l'altezza della catena stessa e il grado di stabilità della massa d'aria misurato dalla frequenza di Brunt-Väisälä. In caso di flow over, un maggior contenuto di vapore acqueo, generato dalla corrente ascensionale orografica forzata, consente all'acqua liquida di attaccarsi alle particelle di precipitazione mediante meccanismi di coalescenza e brinamento, facendo così crescere ulteriormente i fiocchi di neve e producendo la precipitazione più intensa sui primi rilievi della catena montuosa, nel nostro caso proprio sulle Alpi Giulie.
Figura 7 Processi di precipitazione orografica nel caso stabile (flow over) e nel caso instabile (flow around). In quest’ultimo i processi che coinvolgono la microfisica delle nubi sono fondamentali nell’incrementare localmente le precipitazioni sui primi rilievi montuosi
Figure 7 Orographic precipitation in the stable (flow over) and unstable case (flow around). With flow around situation processes involving microphysics of the clouds play a fundamental role in locally increasing precipitation over the first reliefs.
Recentemente, diversi studi si sono concentrati anche sull'impatto sulle precipitazioni intense causato dall'interazione tra il mare e l'atmosfera, sottolineando il ruolo cruciale della temperatura superficiale del mare nell'influenzare i flussi superficiali. Nelle nostre aree tale azione è messa in atto proprio dallo Scirocco, spesso responsabile di precipitazioni orografiche di lunga durata. Temperature marine superficiali più elevate influenzano quindi la struttura termodinamica del boundary layer determinando una transizione più probabile da condizioni di flow around a condizioni di flow over . La conseguenza dell'aumento della temperatura del mare è quindi quella di intensificare i moti convettivi verticali e spostarli verso le creste delle montagne portando intense precipitazioni da sollevamento orografico.
Il rovescio della medaglia, però, è che la pioggia tende a sostituirsi alla neve via via a quote sempre più elevate, complice anche in questo caso il riscaldamento globale, e quando la pioggia invernale raggiungerà con maggiore frequenza i bacini di accumulo glaciale, questo meccanismo di compensazione verosimilmente si esaurirà.
L’influenza di nevicate eccezionalmente forti e ricorrenti negli ultimi anni, in grado di mantenere in equilibrio i piccoli corpi glaciali delle Alpi Giulie, è supportata da un’altra evidenza che vede i ghiacciai alpini, assieme a quelli delle Giulie, dipendere nelle loro variazioni pluri-decennali da un indice climatico che prende il nome di Atlantic Multidecadal Oscillation (AMO).
L’AMO descrive la variabilità della temperatura superficiale dell’Oceano Atlantico settentrionale. Seppur vi siano ancora delle perplessità legate alle cause della supposta ciclicità dell’AMO, i dati confermano che le temperature oceaniche si sono raffreddate e riscaldate in maniera invertita e ciclica tra il 1880 ed oggi. Ad un indice AMO positivo, in particolare, si associano anomalie di temperature positiva in Europa, favorite da modifiche nell’intensità e nella direzione predominante di propagazione di cicloni e anticicloni. Tali oscillazioni sono in fase, in maniera statisticamente significativa, con i bilanci di massa decennali dei ghiacciai alpini, e sovrapposte all’effetto del riscaldamento del clima che vede la contrazione delle masse glaciali. In un lavoro scientifico del 2010, Huss et al. mettono in relazione proprio questi aspetti con 100 anni di misure effettuate sui ghiacciai svizzeri (Figura 8). Anche il corpo glaciale orientale del Canin ha seguito il medesimo andamento, almeno fino all’inizio degli anni 2000, quando poi le dimensioni del piccolo corpo glaciale hanno iniziato ad aumentare e stabilizzarsi, disaccoppiandosi dall’effetto dell’AMO rispetto ai 100 anni precedenti (Figura 9).
Figura 8 (a) Anomalia di fusione glaciale mediata su 30 ghiacciai svizzeri e (b) di accumulo annuale e precipitazione (rispetto alla media 1908-2008). In (c) l’anomalia di bilancio di massa annuale sui ghiacciai svizzeri. Da Huss et al. 2010
Figure 8 (a) Annual glacier melt anomaly averaged over 30 Swiss glaciers, and (b) annual accumulation and precipitation anomaly (deviations from the 1908–2008 average). (c) Annual mass balance anomaly. From Huss et al. (2010)
Figura 9 Indice AMO (curva blu) e variazioni frontali del ghiacciaio orientale del Canin tra il 1896 ed il 2018.
Figure 9 AMO index (blue line) and frontal variations of Canin eastern glacier between 1896 and 2018. Modified from Colucci et al., 2021
Alpi Giulie a parte, che fanno eccezione assieme forse ad altri settori limitati delle Alpi Orobie e Marittime, la criosfera alpina è in rapida trasformazione e nel giro di una trentina d’anni quasi tutti i ghiacciai al di sotto dei 3500 m saranno verosimilmente ormai scomparsi, ma il destino di queste residue forme glaciali minori sembrerebbe essere non così scontato come si pensava.
Il lavoro dal titolo Recent Increases in Winter Snowfall Provide Resilience to Very Small Glaciers in the Julian Alps, Europe è liberamente consultabile e fa parte di una edizione speciale dal titolo Interactions between the Cryosphere and Climate Change.
References:
Colucci R.R., Žebre M., Torma C.Z., Glasser N.F., Maset E., Del Gobbo C., Pillon S. (2021) Recent Increases in Winter Snowfall Provide Resilience to Very Small Glaciers in the Julian Alps, Europe. Atmosphere 12, 263.
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